Affidamento Condiviso dei figli minorenni

L’AFFIDAMENTO CONDIVISO DEI FIGLI MINORENNI IN CASO DI SEPARAZIONE PERSONALE DEI CONIUGI

Quando è stato introdotto e in cosa consiste l’istituto dell’affidamento condiviso?

Uno dei punti più critici e dolenti da affrontare in caso di separazione dei coniugi è quello relativo all’affidamento dei figli.

La legge 54/ 2006 ha introdotto anche in Italia l’istituto dell’affidamento condiviso, recependo i valori delle convenzioni internazionali di New York e di Strasburgo che hanno sancito il principio della bi-genitorialità.

Si è iniziato a distinguere tra coniugalità e genitorialità affermando che mentre prima può cessare, ciò non è possibile per la seconda, ritenendosi di dover fare il possibile per consentirne la libera estrinsecazione anche nella realtà post – coniugale.

La nostra legislazione, infatti, ritiene l’interesse dei figli non solo prevalente ma addirittura esclusivo, dovendo essere prioritariamente realizzato a prescindere da qualunque altro interesse.

L’assunto da cui è partita la legge è quello per cui il figlio ha necessità di conservare il più possibile entrambe le figure genitoriali.

Da qui si comprende pertanto come l’affido esclusivo del figlio minore, inteso come deroga al diritto ad un rapporto completo e stabile con entrambi i genitori, è giustificato solo laddove risulti una condizione di manifesta carenza o inidoneità educativa di uno dei due genitori, che renda quell’affidamento condiviso in concreto pregiudizievole per lo stesso, all’esito di una valutazione in positivo dell’idoneità genitoriale dell’uno e in negativo di quella dell’altro (Corte d’Appello Milano, Sez. V, Sentenza, 12/02/2021, n. 475).

In base al novellato articolo 337-ter c.c. “Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.

Un ulteriore punto di svolta è stato rappresentato dalla riforma della filiazione del 2012-2013, essendosi in tal occasione previsto che il minore debba comunque avere un punto di riferimento abitativo principale.

Ad ogni modo, indicare anche per l’affido condiviso il genitore collocatario non può ritenersi intaccare il principio di parità dei genitori in quanto il riconoscimento del diritto del figlio di avere un privilegiato riferimento abitativo risponde ad esigenze psicologiche fondamentali dello stesso.

In linea generale, il regime legale dell’affidamento condiviso, orientato alla tutela dell’interesse morale e materiale della prole, deve tendenzialmente comportare, in mancanza di gravi ragioni ostative, una frequentazione dei genitori paritaria con i figli, anche se, nell’interesse di questi ultimi, il giudice può individuare un assetto che si discosti da questo principio tendenziale, al fine di assicurare ai minori la situazione più confacente al loro benessere e alla loro crescita armoniosa e serena (Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 11/11/2021, n. 33606).

All’affidamento condiviso può infatti derogarsi solo ove esso risulti contrario all’interesse del minore, ai sensi dell’art. 337 quater c.c.

Non essendo state tipizzate le circostanze ostative all’affidamento condiviso, la loro individuazione è rimessa alla decisione del giudice, da adottarsi nelle fattispecie concrete con provvedimento motivato.

Ipotesi di affidamento esclusivo sono individuabili ogni qualvolta l’interesse del minore possa essere pregiudicato da un affidamento condiviso, ad esempio, nel caso in cui un genitore sia indifferente nei confronti del figlio, non contribuisca al suo mantenimento, manifesti un disagio esistenziale incidente sul la relazione affettiva (Tribunale Pistoia, 02/07/2020, n. 501).

La mera conflittualità tra i genitori non preclude, in via di principio, il ricorso al regime preferenziale dell’affidamento condiviso dei figli, ove si mantenga nei limiti di un tollerabile disagio per la prole, mentre può assumere connotati ostativi alla relativa applicazione, ove si traduca in forme atte ad alterare e a porre in serio pericolo l’equilibrio e lo sviluppo psico-fisico dei figli e, dunque, tali da pregiudicare il loro interesse (Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 28/02/2020, n. 5604).

Anche nell’ipotesi di figli nati fuori del matrimonio, alla regola dell’affidamento condiviso dei figli può derogarsi solo ove la sua applicazione risulti “pregiudizievole per l’interesse del minore“, con la duplice conseguenza che l’eventuale pronuncia di affidamento esclusivo dovrà essere sorretta da una motivazione non più solo in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa ovvero manifesta carenza dell’altro genitore, e che l’affidamento condiviso non può ragionevolmente ritenersi precluso dalla oggettiva distanza esistente tra i luoghi di residenza dei genitori, potendo detta distanza incidere soltanto sulla disciplina dei tempi e delle modalità della presenza del minore presso ciascun genitore (Cass. civ., Sez. I, Sentenza, 06/03/2019, n. 6535).

Il figlio minore deve essere ascoltato dal giudice prima delle decisioni sull’affidamento?

In base a quanto previsto dall’articolo 337– octies c.c. “(…) Il giudice dispone, inoltre, l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento. Nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affidamento dei figli, il giudice non procede all’ascolto se in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo”.

L’audizione dei minori è divenuta un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che li riguardano e, in particolare, in quelle relative al loro affidamento ai genitori. 

L’audizione del minore infra-dodicenne, capace di discernimento, costituisce adempimento previsto a pena di nullità, in relazione al quale incombe sul giudice un obbligo di specifica e circostanziata motivazione, tanto più necessaria quanto più l’età del minore si approssima a quella dei dodici anni, oltre la quale subentra l’obbligo legale dell’ascolto.

Il minore costituisce una parte sostanziale del procedimento diretto a stabilire le modalità di affidamento, per cui, essendo portatore di interessi contrapposti e diversi da quelli dei genitori, ha diritto di esporre le proprie ragioni nel corso del processo, a contatto diretto con l’organo giudicante. Costituisce pertanto violazione del principio del contraddittorio e dei principi del giusto processo il mancato ascolto che non sia sorretto da espressa motivazione sull’assenza di discernimento che ne può giustificare l’omissione (Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 25/01/2021, n. 1741).

Il giudice è obbligato a rispettare le scelte del minore nel corso dell’audizione?

Pur essendo tenuto ad ascoltare il minore, il giudice non ha alcun obbligo di decidere nel modo in cui questi chieda suggerisca o pretenda, essendo comunque evidente che tanto maggiore è l’età del figlio tanto più opportuno sarà tener conto della sua opinione per assicurare il rispetto e le esecuzioni delle prescrizioni che verranno date.

In ogni caso, comunque, il giudice dovrà valutare quanto detto dal minore per comprendere la situazione e dettare provvedimenti adeguati.

Qualora il giudice intenda disattendere le dichiarazioni del minore e le conclusioni peritali, questi dovrà motivare la sua decisione con particolare rigore e pertinenza (Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 24/05/2018, n. 12957).

Non potrà del resto essere sottovalutata la possibilità che quando giunga il colloquio con il giudice il figlio sia stato preparato o condizionato da uno dei due genitori.

A tal proposito si segnala che seppure possa tener conto anche di tale circostanza, questa non ha attualmente uno specifico peso procedurale, non essendo stata riconosciuta in ambito scientifico la c.d. Pas, intendendosi con tale termine la sindrome dall’inazione genitoriale riferibile alla situazione dei minori coinvolti in separazioni fortemente conflittuali nel quale uno dei due genitori determini il figlio a sentimenti di astio e disprezzo verso l’altro.

Complessivamente, dunque, ai fini dell’adozione di provvedimenti concernenti i figli minori, il giudice della separazione non può attribuire valore decisivo alla scelta preferenziale manifestata dagli stessi durante la loro audizione ma deve prendere la soluzione che risulti più idonea a garantire la formazione della corretta personalità dei minori ed il loro armonico sviluppo psicofisico (Cass. civ., Sez. I, 08/05/2003, n. 6970).

Nell’ipotesi di affidamento condiviso chi assume le decisioni relative alla vita del minore?

L’affidamento condiviso comporta l’esercizio della responsabilità genitoriale da parte di entrambi gli ex-coniugi ed una condivisione delle decisioni di maggior importanza attinenti alla sfera personale e patrimoniale del minore (Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 07/06/2021, n. 15819).

In linea generale, sia le decisioni di maggiore importanza che quelle di ordinaria amministrazione relativamente alla vita del minore devono essere prese da entrambi i genitori.

Francesca Prosperi



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