Agevolazione IMU prima casa nell’ipotesi di intervenuta separazione “di fatto” tra i coniugi.

AGEVOLAZIONE IMU PRIMA CASA NELL’IPOTESI DI INTERVENUTA SEPARAZIONE “DI FATTO” TRA I CONIUGI.

Una tematica frequentemente posta all’attenzione delle Commissioni tributarie è quella relativa alla irrilevanza o meno della separazione di fatto ai fini della applicabilità della doppia agevolazione IMU per il nucleo familiare con residenze dei coniugi scisse in due immobili siti nello stesso territorio comunale.

Molto spesso accade infatti che da parte di uno dei due “ex coniugi” venga contestata l’illegittimità di Avvisi di accertamento IMU (ove è indicata la debenza di maggiori somme), sulla base dell’assunto che tale soggetto riterrebbe doversi qualificare quale legittimo beneficiario dell’agevolazione prevista ai fini IMU dall’art. 8 comma 3 D.lgs. n. 23/2011 per l’abitazione principale in cui espressamente dichiara essersi trasferito e risiedere e dimorare insieme alla prole a seguito della rottura del rapporto di coppia.

In altri termini, dalla mera circostanza dell’asserita intervenuta separazione di fatto con il coniuge, il contribuente ritiene talvolta esser legittimato a beneficiare dell’agevolazione fiscale ex lege prevista ai fini IMU, stante l’irrilevanza della diversa residenza del marito o della moglie in altro immobile sito nello stesso Comune, e ciò proprio alla luce della ritenuta “fuoriuscita” di tale ultimo soggetto dal nucleo familiare del primo.

È evidente come un aprioristico accoglimento di simili doglianze rischierebbe di aprire le strade a ricorsi pretestuosi da nient’altro sorretti che da intenti elusivi.

Per comprendere quanto sopra è sufficiente richiamare il contenuto della disposizione normativa per la regolazione dell’esenzione. Tale esenzione è connessa alla definizione di abitazione principale in tema di IMU.

In base a quanto previsto dal comma 2 dell’art. 13 D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, “Per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile”.

A chiarire l’effettiva portata applicativa della disposizione agevolativa è intervenuta la Cassazione che, con le ordinanze nn. 4166 e 4170 depositate il 19 febbraio 2020, e più recentemente Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 24/09/2020) 09/10/2020, n. 21873, ha affermato in modo inequivocabile come (conformemente all’ICI) per considerare il fabbricato adibito ad abitazione principale (nel caso di assenza di separazione legale) è necessario che sia il possessore che il suo nucleo familiare vi dimorino abitualmente e vi risiedono anagraficamente.

In altre parole, secondo la Cassazione il primo periodo dell’art. 13 comma 2 D.L. n. 201/2011 nel richiamo espresso delle circostanze congiuntive della dimora abituale e della residenza anagrafica ha imposto un duplice, necessario requisito fattuale.

Nel caso in cui due coniugi non separati legalmente abbiano la propria abitazione in due differenti immobili, il nucleo familiare resta unico, ed unica, pertanto, potrà essere anche l’abitazione principale ad esso riferibile, con la conseguenza che il contribuente, il quale dimori in un immobile di cui sia proprietario o titolare di altro diritto reale, non avrà alcun diritto all’agevolazione se tale immobile non costituisca anche dimora abituale dei suoi familiari, non realizzandosi in quel luogo il presupposto della “abitazione principale” del suo nucleo familiare. Ciò in applicazione della ratio della norma, che è quella di impedire che la fittizia assunzione della dimora o della residenza in altro luogo da parte di uno dei coniugi crei la possibilità per il medesimo nucleo familiare di godere due volte dei benefici per l’abitazione principale.

La nozione di abitazione principale postula, pertanto, l’unicità dell’immobile e richiede la stabile dimora del possessore e del suo nucleo familiare, sicché non possono coesistere due abitazioni principali riferite a ciascun coniuge sia nell’ambito dello stesso Comune o di Comuni diversi (Cass. n.17408/2021).

Venendo ora alla definizione di nucleo familiare (da non confondersi con quella di “famiglia anagrafica” ex art.  4 D.P.R n. 223/1989, seppure molto spesso i due termini coincidono), occorre rilevare come la stessa non sia univocamente rinvenibile in una specifica disposizione legislativa, venendo piuttosto definita, di volta in volta, a seconda dell’uso che se ne intende fare.

Essendosi in tale ipotesi il legislatore limitato a richiamarne il concetto senza alcuna specificazione, per definirne l’ambito di applicazione occorre ricorrere ad una interpretazione analogica.

A tal proposito è stato rilevato che la norma che, meglio di altre, ha definito compiutamente il concetto di nucleo familiare è ravvisabile nel DPCM 4 aprile 2001, n. 242, recante disposizioni “in materia di criteri unificati di valutazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate e di individuazione del nucleo familiare per casi particolari”, dalla cui lettura è possibile evincere che i due coniugi facciano sempre parte del medesimo nucleo familiare, al di là della residenza anagrafica, tranne che in alcune, limitate, ipotesi tra le quali quella che ricorre “quando è stata pronunciata separazione giudiziale o è intervenuta l’omologazione della separazione consensuale ai sensi dell’articolo 711 c.p.c. ovvero quando è stata ordinata la separazione ai sensi dell’articolo 126 c.c.”.

Alla luce di quanto sopra parrebbe ragionevole concludere che la sola intervenuta separazione di fatto non sia in grado di superare la presunzione di legge, per cui i due coniugi, appartenendo allo stesso nucleo familiare, ai fini IMU, potranno considerare abitazione principale soltanto una delle due residenze situate nel medesimo territorio comunale.

La ratio della norma, come poc’anzi detto è infatti proprio quella di arginare il fenomeno elusivo determinato dalle doppie residenze acquisite dai coniugi in immobili diversi al solo fine di beneficiare delle agevolazioni previste dalla legge.

Stante la carenza della possibilità di un preventivo formale riscontro da parte dell’Ente impositore, aprire anche alle coppie separate di fatto la possibilità di beneficiare di una doppia agevolazione ai fini IMU, finirebbe per rendere estremamente semplice il compimento di condotte elusive.

Si ricorda poi che le norme che prevedono agevolazioni fiscali hanno natura speciale e derogatoria della norma generale che istituisce il tributo e perciò, essendo di stretta interpretazione, non possono essere applicate al di fuori delle ipotesi tipiche e tassative indicate, stante il divieto non solo di applicazione analogica, ma anche di interpretazione estensiva, in conformità a quanto stabilito dall’art. 14 preleggi (Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 6 17/09/2020) 27/11/2020, n. 27134, Cass., Sez. 5, n. 10646 del 2005 e Cass., Sez. 6-5, n. 15407 del 2017).

La Corte di Cassazione ribadisce quindi il principio per il quale le disposizioni fiscali di agevolazione sono di “stretta interpretazione”, ossia inapplicabili a casi o situazioni non riconducibili al significato letterale del testo normativo.

Per completezza di analisi occorre tuttavia rilevare come non siano mancate pronunce della Suprema Corte (sebbene isolate) dalla lettura delle quali sembrerebbe poter trovare spazio una diversa conclusione.

In ogni caso – si evidenzia – le questioni affrontate dalle stesse riguardavano la vecchia ICI e non l’IMU.

Per completezza va evidenziato infatti che, con l’entrata in vigore dell’IMU, la definizione di abitazione principale è cambiata rispetto a quella della vecchia ICI. L’articolo 13, comma 2, D.L. n. 201/2011 prima e l’art. 1, comma 741, lettera b), l. 160/2019, oggi, richiedono che l’unità immobiliare sia destinata contemporaneamente a residenza anagrafica e dimora abituale tanto del possessore quanto del suo nucleo familiare. Non è più possibile, quindi, come avveniva in regime di ICI, che il contribuente possa usufruire dell’agevolazione per l’abitazione principale nel caso di unità immobiliare di sua residenza anagrafica ma non anche del coniuge (salva l’eccezione disciplinata dalla norma nel caso di residenze separate nello stesso Comune), pur se la stessa sia effettivamente utilizzata da entrambi come dimora abituale.

Ad ogni modo, in caso di “separazione di fatto”, non ufficializzata, tale filone giurisprudenziale ritiene centrale l’aspetto probatorio (Cass., n. 15439/2019, Cass. n. 19964/2019, Cass. n. 18367/2019), reputando che anche nel caso di frattura del rapporto coniugale di fatto sia possibile superare la necessità che l’immobile sia destinato a dimora abituale di entrambi i coniugi, purché il contribuente sia in grado di fornire idonea prova di quanto sopra.

Seppure allora in tali pronunce isolate (si ribadisce comunque inerenti alla ICI), la Corte di cassazione non ha precluso tout court l’agevolazione nel caso di frattura di fatto del rapporto coniugale non ufficializzata, vale a dire non comprovata da un atto ufficiale (provvedimento giudiziale), si è comunque incentrato l’attenzione sull’onere probatorio relativo alla predetta frattura, gravante sul contribuente.

A titolo esemplificativo, con l’ordinanza n. 31958/2021, la Corte di Cassazione non ha ritenuto infatti censurabile la decisione della Commissione tributaria regionale che ha respinto la richiesta di agevolazione, poiché quest’ultima ha deciso tenuto conto della mancata prova della frattura del rapporto coniugale “di fatto”.

Fornire prova della avvenuta frattura di fatto del rapporto coniugale rappresenta ovviamente una dimostrazione piuttosto ardua, in quanto attiene a rapporti strettamente personali di cui non sempre è facile evidenziare i caratteri.

E ciò soprattutto se si considera che nel processo tributario non è ammessa la prova testimoniale. L’unica “concessione” è nei confronti delle dichiarazioni rese da terzi che devono essere sempre e comunque elementi indiziari che convincono il giudice, ma non devono figurare nella sentenza (Cass. n. 12406/2021).

Se dunque da un lato è vero che è consentito nel processo tributario, a entrambe le parti, di introdurre in giudizio anche dichiarazioni rese da un terzo, con valore di prova indiziaria, per le quali è quindi necessaria la valutazione di idoneità probatoria, dall’altro lato, ciò non può comportare il superamento del limite del divieto della prova testimoniale, non essendo consentito né alle parti, né al giudice di introdurre una prova orale, procedendo all’assunzione della prova in giudizio.

In conclusione, valutata la difficoltà di fornire una simile prova (la quale potrà agevolmente trovare un riscontro solo quando negli anni successivi, sia intervenuta una separazione ufficiale tra i coniugi), la soluzione che si ritiene maggiormente in linea con il dettato normativo tenderebbe pertanto ad escludere la rilevanza ai fini dell’applicazione dell’esenzione IMU per l’abitazione principale della mera separazione di fatto.

Francesca Prosperi



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