Bitcoin: è autoriciclaggio l’acquisto con proventi illeciti.

È autoriciclaggio l’acquisto di bitcoin con proventi illeciti: così si esprime la Cassazione con la sentenza n. 2868/2022.

La seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso proposto in sede di reclamo all’ordinanza dispositiva del sequestro preventivo del profitto dei reati di autoriciclaggio contestati, pronunciava con la sentenza n. 2868 del 25.01.2022 la seguente massima:

il reato di autoriciclaggio prevede, tra le condotte punibili, anche il “trasferimento” del bene di provenienza illecita e tale trasferimento può ritenersi integrato anche in caso di cambio moneta – nel caso di specie da euro a bitcoin – essendo irrilevante verificare poi quale fosse stato l’utilizzo ancora successivo dei bitcoin infine ottenuti dal ricorrente poiché il reato di autoriciclaggio risulta già integrato dalla preliminare operazione di cambio della valuta.

Vieni pertanto affermato, come di fatto già avvenuto con la sentenza n. 36121 del 24 maggio 2019 (Ai fini dell’integrazione del reato di autoriciclaggio non occorre che l’agente ponga in essere una condotta di impiego, sostituzione o trasferimento del denaro, beni o altre utilità che comporti un assoluto impedimento alla identificazione della provenienza delittuosa degli stessi, essendo, al contrario, sufficiente una qualunque attività, concretamente idonea anche solo ad ostacolare gli accertamenti sulla loro provenienza – In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto configurabile il reato in presenza di un trasferimento di somme oggetto di distrazione fallimentare su conti stranieri di una società controllante di quella fallita) il principio secondo il quale la fattispecie prevista e punita ai sensi dell’art. 648-ter c.p. è da ritenersi configurata indipendentemente dalla circostanza rappresentata dalla successiva tracciabilità (rectius, individuazione) delle operazioni di trasferimento contestate in quanto è il dettame stesso della norma richiamata a prevedere tra le condotte punibili anche il (mero) “trasferimento” del bene di provenienza illecita.

La pronuncia trae infatti origine dal ricorso in sede di reclamo avverso l’ordinanza di sequestro preventivo del profitto derivante dai reati di autoriciclaggio contestati all’imputato il quale, per il tramite di prestanome che effettuavano bonifici a società estere di cambio valuta, aveva acquistato moneta virtuale (nello specifico, bitcoin) utilizzano i proventi realizzati attraverso le attività di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione.

Nell’esaminare la questione la Corte di Cassazione rileva in primo luogo che le condotte contestate evidenziavano come non si trattasse di acquisto diretto di criptovaluta da parte dell’imputato bensì di trasferimenti, a mezzo bonifici avvenuti in Euro, di somme di denaro che dai conti intestati a dei prestanome confluivano a società estere successivamente incaricate di effettuare il cambio di valuta da Euro a bitcoin. Un tale meccanismo, che non vedeva l’imputato compiere personalmente le predette operazioni, ma contemplava un articolato meccanismo di intermediazione non solo finanziaria ma anche personale, non poteva non integrare una condotta di serio ostacolo alla identificazione del ricorrente quale beneficiario finale delle transazioni ed effettivo titolare della criptovaluta – tra le altre cose impiegata per il pagamento del canone della piattaforma web per il cui tramite venivano pubblicizzati i servizi offerti dalle prostitute. 

Su tale assunto veniva quindi respinta la tesi difensiva del ricorrente i quale da un lato evidenziava come le società estere fossero di fatto effettivamente operative nel settore delle criptovalute, dall’altro richiamava la struttura stessa delle operazioni di acquisto di bitcoin le quali, per il fatto stesso di inserirsi all’interno del meccanismo blockchain, erano da ritenersi a tutti gli effetti tracciabili, anche con riferimento al reale beneficiario del cambio valuta.

A fronte dei predetti motivi di impugnazione, la Corte correttamente rileva come all’attività di cambio della valuta debba essere attribuito carattere finanziario essendo la stessa disciplinata dal nostro ordinamento il quale prevede un obbligo per il soggetto che la esercita di essere iscritto in appositi registri con la conseguenza che la condotta del ricorrente rientra tra quelle punite dalla norma incriminatrice contestatagli, per avere dato corso al trasferimento del profitto dei reati presupposto in una attività finanziaria costituita dal cambio della valuta posto in essere su suo mandato da società estere.

Non solo.

Nell’affrontare il secondo motivo di impugnazione – attinente alla mancata idoneità della condotta ad integrare un ostacolo all’individuazione della provenienza illecita del bene – la Suprema Corte dapprima ricorda come ai fini dell’integrazione del reato di autoriciclaggio, non occorre che l’agente ponga in essere una condotta di impiego, sostituzione o trasferimento del denaro, beni o altre utilità che comporti un assoluto impedimento alla identificazione della provenienza delittuosa degli stessi, essendo, al contrario, sufficiente una qualunque attività, concretamente idonea anche solo ad ostacolare gli accertamenti sulla loro provenienza (con ciò richiamando il proprio precedente n. 36121/2019) concludendo, infine, con il sottolineare come in tema di autoriciclaggio, l’intervenuta tracciabilità, per effetto delle attività di indagine poste in essere dopo la consumazione del reato, delle operazioni di trasferimento delle utilità provenienti dal delitto presupposto non esclude l’idoneità “ex ante” della condotta ad ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa. A parere della Corte pertanto, la condotta in esame appare a tutti gli effetti in grado di integrare gli elementi essenziali della fattispecie di reato di cui all’art. 648ter posto che la norma incrimina anche il solo trasferimento del bene di provenienza illecita rappresentato, nel caso che interessa, dal denaro contenuto nelle Postepay utilizzare per effettuare i bonifici alle società di cambio valute all’estero ed alla luce di ciò vengono ritenute del tutto irrilevanti le verifiche in ordine alle finalità del concreto utilizzo della criptovaluta da parte del ricorrente essendo, invero, già integrato in ogni suo elemento il delitto di autoriciclaggio.

La conclusione cui giunge la Corte, condivisa da chi scrive, giunge in un momento storico particolarmente sensibile alle evoluzioni ed ai cambiamenti che interessano anche – se non soprattutto – il panorama economico-finanziario. Il riferimento è indubbiamente all’avvento delle criptovalute ed ai maccanismi (quali la blockchain per un approfondimento sulla materia si veda il seguente contributo link) ad esse sottesi che giocoforza si devono adesso considerare nell’interpretazione anche delle fattispecie penalistiche.

Non solo.

La questione emersa in riferimento al caso in questa sede esaminato assume rilevanza ancora maggiore se si considera che la fattispecie di cui all’art. 648ter è ricompresa all’interno dei c.d. reati presupposto alla verificazione dei quali, laddove ascritti ad un Ente o Società, si integrano i requisiti integranti una responsabilità ai sensi del d.lgs. 231/2001 con conseguenze talvolta altamente impattanti sulle sorti stesse dell’ente. Sono sempre più frequenti, infatti, scelte imprenditoriali volte anche alla diversificazione degli investimenti e che contemplino allo stesso tempo l’utilizzo di nuovi strumenti quali appunto le criptovalute o i criptoasset in generale ed è quindi giunto il tempo che anche la giurisprudenza si sensibilizzi in tal senso, rileggendo in chiave più attuale quelle norme che da ormai molto tempo fanno parte del nostro ordinamento.

Adele Antonini



Hai bisogno di una Consulenza Legale?

Compila il Form e prendi un appuntamento con un nostro professionista
Please install and activate the "Contact form 7" plugin to show the contact form.