Una recente pronuncia della Suprema Corte ha sancito che è configurabile l’esistenza di un unico centro di imputazione in presenza di:

a) unicità della struttura organizzativa e produttiva;

b) integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo ed il correlativo interesse comune;

c) coordinamento tecnico ed amministrativo-finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune;

d) utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori (Cassazione civile, Sez. lav., sentenza 23 dicembre 2021, n. 41417).

La pronuncia in questione, preceduta da altri precedent conformi, costituisce spunto per esaminare la fattispecie del centro di imputazione datoriale unico (v. anche Cass. 31 luglio 2017, n. 19023 Cass. 31 maggio 2017, n. 13809 Cass. 20 dicembre 2016, n. 26346 Cass. 12 febbraio 2013, n. 3482).

IL CASO

Con sentenza n. 3 /2019 la Corte d’Appello di Ancona, in riforma della pronuncia resa in data 6 settembre 2018 dal Tribunale di Pesaro, ha condannato in solido la Società X nonché la Società Y a reintegrare la dipendente nel posto di lavoro e a corrisponderle un’indennità pari a dodici mensilità della ultima retribuzione globale di fatto nonché alla regolarizzazione previdenziale e assistenziale dal giorno del licenziamento alla effettiva reintegrazione, oltre accessori.

I giudici di secondo grado hanno rilevato che tra la Società X e la Y fosse ravvisabile un unico centro di imputazione giuridica in considerazione dell’utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle distinte imprese, anche dopo il passaggio della dipendente alle dipendenze della Società Y e dei rapporti tra i due enti, caratterizzati da commistioni, ingerenze e sovrapposizioni sia sotto il profilo dell’attività imprenditoriale svolta che sotto l’aspetto del personale dipendente.

Hanno poi precisato che la procedura di mobilità era illegittima per non essere stato preso in considerazione il personale dell’intero gruppo economico, con conseguente illegittima determinazione dei criteri di scelta dei lavoratori da porre in mobilità, applicati a una platea ristretta e parziale dei dipendenti, invece che a tutti i lavoratori di gruppo con mansioni fungibili.

Hanno quindi riconosciuto la tutela reale in considerazione della violazione dei criteri di scelta, parametrando, poi, l’indennità risarcitoria, riconosciuta in dodici mensilità, alla retribuzione effettivamente percepita dalla lavoratrice. Avverso la sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione entrambe le Società soccombenti.

La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha osservato che nella sentenza impugnata, con accertamento di fatto riservato al giudice di merito e in questa sede neppure astrattamente incrinabile dalle deduzioni di parte ricorrente, gli elementi di collegamento fra gli enti avessero travalicato, per caratteristiche e finalità, le connotazioni di una mera sinergia fra organizzazione sindacale datoriale e struttura con distinta soggettività giuridica diretta ad assicurare ai propri associati i servizi prestati dall’art. 34 del D.Lgs. n. 241/97, per sconfinare in una compenetrazione di mezzi e di attività, sintomatica della sostanziale unicità soggettiva ai fini per cui è causa.

I CRITERI

I criteri attraverso i quali la Corte di merito (non sindacabili in cassazione limitatamente ai relativi accertamenti di fatto) è pervenuta alla qualificazione della sostanziale unicità della struttura aziendale, sono coerenti con le indicazioni del giudice di legittimità secondo il quale è configurabile l’esistenza di un unico centro di imputazione in presenza di:

a) unicità della struttura organizzativa e produttiva;

b) integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo ed il correlativo interesse comune;

c) coordinamento tecnico ed amministrativo-finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune;

d) utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori.

In adesione ai principi sopra richiamati, la Corte territoriale ha constatato che la distinzione tra i due formali datori di lavoro, lungi dall’essere questi soggetti autonomi e distinti, era soltanto nominale, perché di fatto il datore di lavoro era stato unico.

IL PRINCIPIO GIURIDICO

La giurisprudenza riconosce la configurabilità, a vari fini, di un’impresa unitaria, a prescindere dal carattere simulatorio del frazionamento dell’unica attività, e valorizzando la mera apparenza della pluralità di soggetti giuridici a fronte di un’unica sottostante organizzazione di impresa, intesa come unico centro decisionale.

Alla luce dei su esposti principi e della ricostruzione fattuale operata dalla Corte di merito e nell’ottica della accertata unicità del centro di imputazione sostanziale dei rapporti di lavoro, risulta priva di pregio la tesi delle società ricorrenti, che costituisce lo sfondo concettuale alla base di larga parte delle censure articolate con i motivi in esame, secondo la quale la Società X era un’organizzazione di tendenza, mentre la Società Y aveva natura imprenditoriale.

Al riguardo, è sufficiente anche richiamare il principio di effettività, che trova espressione in numerose disposizioni normative (v., a esempio, gli artt. 27, 29 e 30 del D.Lgs. n. 276/2003 e succ. modif.; art. 8 della L. n. 223/1991), a cominciare dall’art. 2094 c.c.

Si è precisato che la stessa “esigenza di individuare con precisione un unico centro di imputazione cui ricondurre la gestione del singolo rapporto di lavoro, al di là degli schermi societari ovvero di una pluralità di strutture organizzative non aventi una chiara distinzione di ruoli, risponde al dato normativo base dell’art. 2094 c.c. che impone di individuare l’interlocutore tipico del lavoratore subordinato nella persona (fisica o giuridica) del “datore di lavoro”, e cioè di chi, di fatto detiene ed esercita i suoi poteri (direttivo e disciplinare) nei confronti della controparte dipendente“.

In forza di tale principio deve ritenersi che l’esistenza di titoli giuridici formalmente legittimanti l’utilizzazione da parte di una società dei dipendenti di altra società oppure lo spostamento dei lavoratori da uno all’altro datore di lavoro, non costituisca elemento di per sé ostativo alla configurazione di un’impresa unitaria ove ricorrano indici significativi della unicità della struttura organizzativa e produttiva, dell’integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese in vista di un interesse comune, dell’esistenza di unico centro decisionale che coinvolga anche la gestione del personale o di parti di esso, oppure di una condizione di codatorialità tra gruppi genuini.

Nel caso in esame, la Corte territoriale, con adeguata ed esauriente motivazione, ha dato atto delle ragioni per cui ha ritenuto dimostrata la sussistenza di un unico centro di imputazione tra i due enti confermata anche dalla interferenza tra l’oggetto sociale della Società Y, che si dimostrava una specificazione delle attività genericamente indicate nello statuto della Società X, con conseguente comunanza di scopi ed impossibilità di scindere le attività che i dipendenti svolgevano a favore dell’uno o dell’altro ente la cui natura, in concreto, doveva ritenersi imprenditoriale per entrambi.



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