Con il termine “Participation exemption” (o più brevemente, “PEX”), si fa riferimento ad uno specifico regime di esenzione fiscale in materia di tassazione delle plusvalenze da partecipazioni.

In termini generali, nel caso in cui si effettui la vendita di un bene ad un prezzo superiore al suo valore contabile (superiore, dunque, al prezzo di acquisto) viene a generarsi un incremento di valore che sarà dato dalla differenza positiva fra due valori dello stesso bene riferibili a momenti diversi: nel linguaggio giuridico si parla a tal proposito di plusvalenza, un “componente positivo” del reddito di impresa.

Nell’ambito della “Riforma Tremonti”, in una logica di coerenza del sistema, il D.lgs. 344/03, seguendo le direttive della Legge Delega n. 80/2003, ha affiancato ad un particolare sistema di esclusione da tassazione degli utili societari distribuiti, anche un nuovo regime di esenzione da tassazione per le plusvalenze azionarie.

Una misura di carattere strumentale, dunque, la cui finalità è da ravvisarsi nell’intento di eliminare la doppia imposizione economica dagli utili societari, sia quelli già realizzati dalla società partecipata e tassati in capo ad essa, sia quelli che la società partecipata realizzerà ed assoggetterà ad imposizione in futuro.

L’Agenzia delle Entrate ha infatti affermato che l’assunto da cui muove l’istituto della esclusione da imposizione dei dividendi e la corrispondente esenzione delle plusvalenze si riconnette ai criteri economici di formazione delle plusvalenze e, in particolare, alla circostanza che il plusvalore realizzato in occasione della cessione di una partecipazione è costituito da utili già conseguiti o conseguibili in futuro dalla partecipata, i quali hanno già scontato o sconteranno in via definitiva le imposte presso il soggetto che li ha prodotti (Agenzia delle Entrate, circolare n. 36/2004).

La normativa di riferimento in materia di Participation exemption è collocata all’interno dell’art. 87 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), il quale viene espressamente richiamato anche da altre disposizioni del TUIR tra cui, in particolare, l’art. 58, comma 2, relativo alle plusvalenze conseguite dai contribuenti IRPEF in regime d’impresa.

Si tratta pertanto di un agevolativo usufruibile sia dai soggetti IRES che dai contribuenti IRPEF, nel caso in cui – a seguito della cessione di una partecipazione detenuta nell’ambito dell’attività d’impresa (fermo il sussistere delle condizioni di cui all’art. 87 TUIR) – abbiano realizzato una plusvalenza.

Nello specifico il già menzionato art. 87 si riferisce alle “plusvalenze realizzate e determinate ai sensi dell’articolo 86, commi 1, 2 e 3, relativamente ad azioni o quote di partecipazioni in società ed enti indicati nell’articolo 5, escluse le società semplici e gli enti alle stesse equiparate, e nell’articolo 73, comprese quelle non rappresentate da titoli”.

La Participation Exemption si traduce essenzialmente nella sottrazione alla formazione del reddito complessivo di tali plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni consentendone la non imponibilità ai fini delle imposte dirette (IRES/IRPEF).

Esenzione che si concretizza in una percentuale del 95% per i soggetti IRES (con conseguente concorrenza delle plusvalenze alla formazione del reddito imponibile nella misura del solo 5%) e del 50,28% per i soggetti IRPEF (con conseguente concorrenza alla formazione del reddito imponibile nella misura del 49,72%).

Confrontando le disposizioni contenute nelle lettere c) e d) del primo comma dell’articolo 4 della citata Legge n. 80/2003, emerge il fatto che, mentre per i dividendi era già riconosciuta un’esclusione dalla formazione del reddito complessivo per il 95% del loro ammontare, le plusvalenze erano state in origine ritenute totalmente esenti da tassazione.

L’istituto dell’esclusione dei dividendi ex art. 89 TUIR e quello dell’esenzione delle plusvalenze di cui art 87 TUIR, sebbene accumunati dalla medesima ratio (eliminare appunto la doppia imposizione economica sugli utili dell’impresa), presentano aspetti di differenziazione per quanto riguarda i requisiti d’accesso al relativo regime.

Il legislatore ha preferito non estendere l’esenzione alle plusvalenze “speculative” ma sottoporvi solo le plusvalenze rappresentanti un trasferimento in capo al socio della ricchezza prodotta e già sottoposta ad imposizione dalla società.

Nell’ambito del reddito d’impresa, dunque, per l’applicazione del regime PEX è richiesta la sussistenza di precisi requisiti che non sono, invece, richiesti per l’esclusione da tassazione dei dividendi.

Tali requisiti sono stati strutturati al fine di garantire che le partecipazioni dimostrino una certa stabilità e durata nel tempo del rapporto tra partecipata e partecipante, evitando comportamenti potenzialmente elusivi della società.

Le condizioni di cui si parla sono quattro: le prime due relative alla società partecipante, le altre due alla società partecipata.

Come prima condizione, all’art. 87, comma 1, lettera a) si richiede un periodo minimo di possesso (holding period) nello specifico non inferiore a un anno al momento della cessione.

In altre parole, si richiede il possesso dal primo giorno del dodicesimo mese precedente quello della cessione, con l’obbiettivo evidente di accordare il beneficio solo agli investimenti durevoli.

La seconda condizione (art. 87 comma 1, lett. b)) richiede l’iscrizione delle partecipazioni fra le immobilizzazioni finanziarie sin dal primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso: ciò non permette riclassificazioni strumentali eseguite in vista della cessione.

A tal proposito, l’iscrizione iniziale in bilancio ha valore decisivo: se dopo la prima iscrizione fra le immobilizzazioni la partecipazione fosse iscritta nell’attivo circolante, l’esenzione non verrebbe meno.

Contrariamente, l’originaria iscrizione nell’attivo circolante preclude definitivamente l’applicazione del regime di esenzione.

Questi due primi requisiti intendono assicurare che la plusvalenza rifletta effettivamente gli utili della partecipata, e non sia frutto di c.d. “fluttuazioni del mercato”.

Come anticipato invece, la terza e la quarta condizione concernono la società partecipata.

In base all’art. 87 comma 1, lett. c), il regime di esenzione non compete alle partecipazioni in società che hanno sede in uno Stato o territorio a regime fiscale privilegiato. Se la partecipata non è tassata, o è tassata poco, l’esenzione non ha infatti ragion d’essere.

L’impedimento all’applicazione di tale regime può essere rimosso mediante interpello, provando che con la localizzazione dei redditi nello Stato o territorio a regime fiscale privilegiato non è stato conseguito l’effetto di evitare una tassazione di livello ordinario.

Il regime di esenzione può applicarsi quindi anche se la società partecipata ha sede in Stati o territori a regime fiscale privilegiato laddove sia dimostrato che i redditi provengono da altre società partecipate, residenti in Stati o territori ove hanno subito una tassazione di livello ordinario.

Infine, l’ultimo requisito concerne l’attività della società partecipata, che deve essere un’impresa commerciale, come definita dal 55 TUIR.

Ciò comporta dunque che l’esenzione sia negata alle partecipazioni in società senza impresa e in particolare alle partecipazioni in società immobiliari di mero godimento, ossia in società che non svolgono una effettiva attività commerciale.

Al momento del realizzo della plusvalenza, le ultime due condizioni (residenza in uno stato a fiscalità non privilegiata ed esercizio di attività commerciale) devono essere integrate ininterrottamente fin dal terzo periodo di imposta anteriore al realizzo (art. 87 comma 2).

Infine, nel caso di partecipazioni in società holding, le stesse due condizioni devono essere integrate, oltre che dalla holding, anche dalle società partecipate dalla holding (art. 87 comma 5).

In caso di mancato rispetto di tali requisiti la plusvalenza resta imponibile, dovendo pertanto essere soggetta al “regime ordinario” di tassazione.



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