Metaverso e diritti: quali, i futuri scenari?

Quali, i futuri scenari?

Il termine Metaverso inizia a circolare nel linguaggio comune in tempi relativamente recenti dopo che Neal Stephenson lo introduce nell’ambito della cultura punk degli anni Novanta attraverso il suo libro Snow Crash (1992). Adesso, come al tempo in cui emerse, il riferimento indicava ad una sorta di realtà virtuale condivisa tramite internet, dove si è rappresentati in tre dimensioni attraverso il proprio avatar – ovvero il proprio alter ego virtuale – che permette all’utente un’esperienza immersiva e multidimensionale avvalendosi, ad esempio, di visori 3D, realtà aumentate e tecnologie blockchain.

La finalità e l’obiettivo principale che il Metaverso di pone di raggiungere è la creazione di un ambiente in cui l’utente possa compiere le medesime attività di vita quotidiana condotte nel mondo reale dalle relazioni sociali e personali alle transazioni commerciali, dalle riunioni di lavoro al concerto del proprio idolo musicale, dalle opere d’arte alle sfilate di alta moda.

Il Metaverso è quindi orientato ad offrire alla comunità dei propri utenti la più completa integrazione tra il mondo fisico e quello virtuale permettendo agli avatar di “esperenziare” ogni (o quasi) attività e/o situazione appartenenti di regola al mondo reale. Facile quindi comprendere come di fronte ad un simile impianto, si renda necessario se non doveroso, interrogarsi su quali siano di fatto le regole che disciplinano la realtà virtuale e quali strumenti di tutela accordare ai beni ed alle persone che popolano questi nuovi universi.

La tematica non è affatto da sottovalutare in considerazione degli interessi che entrano potenzialmente in gioco dall’interazione degli avatar nel Metaverso e che non sono esclusivamente circoscritti ad aspetti meramente economici. Risale infatti allo scorso Febbraio 2022 la notizia pubblicata da un quotidiano nazionale con la quale si portava all’attenzione un fatto accaduto alla ricercatrice Nina Jane Patel la quale, durante un’esperienza virtuale all’interno di Horizon Worlds, veniva aggredita verbalmente, palpeggiata e violentata in gruppo da altri avatar mentre altri personaggi li incitavano, scattavano foto e giravano video dell’accaduto. Ebbene, come detto, di fronte a simili circostanze chiedersi fin dove possa spingersi il diritto nell’accordare tutela a persone e beni, appare ormai una tappa obbligata.

Nel tentativo di rispondere all’interrogativo sorto, non possiamo non considerare come negli ultimi decenni lo sviluppo di Internet abbia contemporaneamente richiesto di adattare a tale strumento dei meccanismi di tutela già accordati dal legislatore interno nonché comunitario estendendo, ad esempio, anche a tale dimensione la normativa dettata in materia di proprietà industriale ed intellettuale adattandola a concetti nuovi quali quelli di dominio o nome a dominio. Ancora, a livello sovranazionale stiamo assistendo ad una sempre maggiore attenzione accordata al mondo digitale e virtuale mediante la predisposizione, inter alia, del Digital Service Act e del Digital Market Act i quali hanno lo scopo di proteggere in modo più efficace i diritti fondamentali degli internauti e rendere i mercati digitali più equi e sicuri.

Ma non è tutto; accanto ai documenti appena citati, la cui approvazione è prevista per il 2023, il Metaverso è direttamente interessato dalla normativa dettata in materia di trattamento dei dati personali che, in virtù del Regolamento Europeo 679/2016 (GDPR), è immediatamente applicabile anche al mondo virtuale considerato che lo stesso avatar agisce mediante lo sfruttamento dei dati personali riferibili alla persona reale che lo governa. Nel Metaverso, infatti, vengono raccolti e trattati un enorme volume di dati personali nonché metadati attraverso i quali è possibile conoscere preferenze di consumo ed opinioni ma vengono al contempo raccolti e trattati anche dati afferenti la sfera corporea (ad esempio, i movimenti oculari) nonché psicologica della persona fisica “padrona” dell’avatar (ad esempio, le reazioni comportamentali).

Le applicazioni “virtuali” delle normative sinora richiamate seppur affatto esenti da problematiche di natura propriamente applicativa – il riferimento principale è alle questioni processuali legate all’individuazione della competenza territoriale nonché della giurisdizione applicabile – stanno trovando pacificamente accoglimento nei dibattiti interessanti la materia in esame non potendo, invece, affermare altrettanto con riferimento alla tutela accordata dal nostro ordinamento in ambito penale. Se è pacifico, infatti, che condotte alla stregua di quelle che hanno interessato la ricercatrice statunitense siano assolutamente passibili di essere perseguite penalmente nel mondo reale è importante al contempo comprendere se ed entro quali limiti si possa affermare altrettanto rispetto a quello virtuale.

Va riconosciuto infatti che il Metaverso, integrando una realtà virtuale creata da un utente attraverso il proprio avatar, non consente l’effettiva costituzione di situazioni giuridiche soggettive valide nel mondo reale e sebbene risultino indubbi sia il disvalore che l’offensività delle condotte verificatesi, appare difficile individuare ed imputare una responsabilità penale in capo alla persona fisica titolare dell’avatar.

Sul punto, ad avviso della scrivente, si pone principalmente una questione afferente all’elemento soggettivo delle fattispecie di reato potenzialmente e penalmente rilevanti nel mondo virtuale ed all’espresso dettame costituzionale di cui all’art. 27, primo comma. Se infatti, come ampiamente detto, offensività e disvalore della condotta non sono in discussione, non è possibile affermare altrettanto in riferimento alla praticabilità concreta di ricondurre quello specifico comportamento dell’avatar, non tanto alla coscienza e volontà del “padrone”, bensì all’identità ed alla corretta individuazione della persona fisica “padrone”. In altre parole, considerati i principi dell’ordinamento costituzionale che impongono che la responsabilità penale sia personale, con ciò escludendo ipotesi di imputazioni a titolo di responsabilità oggettiva, è necessario assicurarsi che dietro l’avatar “incriminato” ci sia una persona fisica individuabile con certezza quale utilizzatrice, nello specifico momento della realizzazione del “metareato”, di quello specifico avatar.

E’ pertanto questa difficoltà uno degli ostacoli maggiori all’effettiva applicazione nel Metaverso del diritto penale afferente e predisposto per governare il mondo reale il quale, allo stato attuale, non è in grado di individuare beni giuridici virtuali cui accordare tutela alla stregua dei corrispondenti reali venendo necessariamente meno taluno degli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice.

Sarà pertanto necessario un intervento ad hoc per ovviare le problematiche che stanno iniziando ad emergere in materia.

Adele Antonini



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