Il periodo di comporto, in ambito lavorativo, si riferisce al totale di assenze per malattie di un dipendente. Superato il limite massimo di assenze consentito, il lavoratore rischia il licenziamento. Entriamo nel dettaglio di questo argomento.

A che cosa si riferisce il comporto?

Nei contratti di lavoro, si riferisce al totale delle assenze per malattia di un dipendente. Solitamente, esiste un limite massimo di assenze consentito, stabilito nei Contratti Collettivi di Lavoro. Se un dipendente supera tale limite, può essere licenziato per superamento del periodo di comporto. Nel caso in cui il Contratto Collettivo non specifichi un limite preciso, la Legge fa riferimento a un “periodo fissato dagli usi o secondo equità“.

La maggior parte dei contratti di lavoro, in caso di superamento, permette al dipendente di richiedere un periodo di aspettativa non retribuito. È importante sottolineare che alcune tipologie di assenze, come quelle per terapie salvavita, puerperio o interruzione di gravidanza non rientrano nel calcolo del periodo di comporto e quindi non influenzano l’anzianità retributiva.

Conservazione del posto di lavoro

Il lavoratore ha diritto, in caso di malattia o infortunio, a mantenere il proprio posto di lavoro per un periodo di tempo definito. Una volta scaduto questo intervallo temporale, sia il datore di lavoro che il dipendente hanno la possibilità di recedere liberamente dal contratto di lavoro senza dover giustificare ulteriormente la loro decisione.

La sentenza della Cassazione

Secondo la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 12568 del 2018, nel caso di recesso per superamento del periodo di comporto, la condizione deve sussistere prima della comunicazione di recesso da parte del datore di lavoro, in modo tale da giustificarlo a livello legale qualora il superamento costituisca l’unico motivo per tale atto. Per citare la sentenza stessa “È nullo e non temporaneamente inefficace il licenziamento per superamento del comporto intimato prima del compimento dello stesso”.

Come si calcola il periodo di comporto?

È importante notare che il calcolo può seguire diversi metodi a seconda del caso specifico. Inoltre, ci sono alcune situazioni peculiari in cui il licenziamento del dipendente è comunque possibile, anche se è trascorso il periodo di tutela.

In altre parole, il periodo di comporto è un periodo di protezione durante il quale il dipendente mantiene il suo posto di lavoro anche in caso di malattia o infortunio. Tuttavia, una volta scaduto questo periodo, sia il datore di lavoro che il dipendente possono terminare il rapporto di lavoro senza dover fornire ulteriori giustificazioni. È importante essere consapevoli delle normative specifiche e delle eccezioni che possono applicarsi a seconda della legislazione e dei contratti collettivi in vigore.

Periodo di comporto e licenziamento

Il periodo di comporto offre una protezione al lavoratore garantendo il diritto alla conservazione del posto di lavoro e il ricevimento di un’indennità di malattia fornita dall’INPS e integrata dal datore di lavoro, in conformità con le disposizioni dei Contratti Collettivi applicati.

Nonostante sia un periodo di tutela, ci sono circostanze in cui il datore di lavoro può licenziare il dipendente anche se questi è in malattia e il periodo di comporto non è ancora scaduto. Pertanto, il periodo di comporto non è una garanzia assoluta di mantenimento del posto di lavoro in tutte le circostanze. Vediamo nel prossimo paragrafo in quali situazioni è possibile procedere con il licenziamento.

Quando è possibile il licenziamento?

La Legge prevede che sia possibile procedere al licenziamento in determinati casi. Nel dettaglio:

  • Giusta causa: si tratta di una motivazione legata a gravi fatti o comportamenti del lavoratore che rendono impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro, anche temporaneamente.
  • Incapacità del lavoratore di riprendere l’attività lavorativa: questo si verifica quando il lavoratore non è in grado di tornare al lavoro a causa di un peggioramento irreversibile delle sue condizioni di salute.
  • Cessazione definitiva dell’attività aziendale: nel caso in cui l’azienda chiuda definitivamente e cessi la sua attività, ciò può comportare il licenziamento dei dipendenti.

Questi casi rappresentano delle eccezioni in cui il datore di lavoro può procedere al licenziamento del dipendente, nonostante sia in malattia e il periodo di comporto non sia ancora scaduto. Tuttavia, sottolineiamo che il licenziamento deve essere effettuato nel rispetto delle leggi e dei diritti del lavoratore, e il datore di lavoro deve essere in grado di fornire giustificazioni valide per tale decisione.

Quanto dura il periodo di comporto?

La durata non è regolamentata da una singola norma, ma dipende dalle regole stabilite dalla Legge e dai contratti collettivi applicati in ciascun settore lavorativo.

Per il settore impiegatizio, la Legge fornisce dei limiti temporali minimi, a seconda dell’anzianità di servizio del lavoratore:

  • 3 mesi se l’anzianità di servizio è inferiore a dieci anni.
  • 6 mesi se l’anzianità di servizio supera i dieci anni.

Per gli operai, invece, la durata del periodo di comporto è stabilita tramite la contrattazione collettiva, ovvero gli accordi stipulati tra i sindacati dei lavoratori e le associazioni dei datori di lavoro.

In altri termini, il periodo di comporto può variare a seconda del settore lavorativo e dell’accordo collettivo applicato. Pertanto, per conoscere la durata specifica del periodo di comporto, è necessario fare riferimento alle normative e ai contratti collettivi in vigore nella specifica azienda o settore di lavoro.

Quali sono le tipologie?

Sono previste diverse modalità per il calcolo del periodo di comporto durante le assenze per malattia:

  • Comporto secco: questo metodo si applica quando c’è un unico periodo di malattia continuativo e ininterrotto. La durata del periodo di comporto sarà stabilita in base alla Legge o ai Contratti Collettivi.
  • Comporto per sommatoria: in questo caso, i giorni di assenza per malattia vengono sommati nel corso dell’anno, anche se gli episodi sono stati intermittenti e non consecutivi. Vengono conteggiati anche i giorni festivi, i giorni di riposo settimanale e i giorni di sciopero che ricadono nel periodo coperto dal certificato di malattia.
  • Comporto misto: questo sistema prevede la possibilità di licenziare un dipendente dopo una determinata durata complessiva delle assenze per malattia, o comunque dopo che, in un certo periodo di tempo, si sono sommate assenze per malattia oltre un numero specifico di giorni.

Arco temporale di riferimento

Per quanto riguarda l’arco temporale di riferimento è necessario consultare i Contratti Collettivi. Alcuni contratti stabiliscono un anno solare, ossia un periodo di 365 giorni a partire dal primo giorno di malattia o contando all’indietro dalla data di licenziamento. Altri contratti, invece, considerano un anno di calendario, ovvero il periodo compreso tra il 1° gennaio e il 31 dicembre dello stesso anno.

Come si interrompe il comporto?

Se un dipendente vuole interrompere il periodo di comporto per malattia e utilizzare le ferie, può farlo a condizione che abbia già accumulato ferie e che siano disponibili per l’utilizzo. La richiesta deve essere formalizzata per iscritto, specificando l’inizio del periodo in cui desidera convertire l’assenza per malattia in ferie. È essenziale presentare questa comunicazione prima della scadenza del periodo di comporto.

Il datore di lavoro deve considerare la volontà del dipendente di mantenere il posto di lavoro, ma non è obbligato ad accettare la richiesta di ferie, poiché le esigenze dell’impresa devono essere prese in considerazione quando si gestiscono le ferie dei dipendenti.

Avv. Filippo Pasqualetti

Speriamo di aver fatto maggiore chiarezza in merito al funzionamento del periodo di comporto. Per qualsiasi informazione puoi contattare il Nostro Studio Legale al 0571 530014 / 0571 526135 oppure scrivere al seguente indirizzo di posta elettronica: studiolegale@studiolegalelb.it



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