Rischio fiscale, adempimento collaborativo e tax control framework

COSA È IL RISCHIO FISCALE?

Nell’ambito del processo di pianificazione aziendale, ossia il sistema di programmazione che consente alle imprese di individuare e raggiungere gli obiettivi prefissati, assume prima importanza la conoscenza delle diverse categorie di rischio cui l’attività aziendale è potenzialmente incline e gli strumenti che l’impresa ha a disposizione e può adottare per controllare e monitorare tali categorie di rischio. 

L’art. 3 del D.Lgs. 128/2015 definisce il rischio fiscale come «il rischio di operare in violazione di norme di natura tributaria ovvero in contrasto con i principi o con le finalità dell’ordinamento tributario».

Nella gran parte dei casi consta di rischi legati alla indisponibilità, totale o parziale, di informazioni rilevanti, alla errata interpretazione di una norma o alla errata esecuzione di adempimenti. Attualmente, ad esempio, un’operazione fiscale che generi un beneficio fiscale diverso da quello ritenuto legittimo da parte dell’Amministrazione, che sia per una interpretazione o una qualificazione normativa diversa, può implicare maggiori imposte e sanzioni amministrative, se non addirittura l’invio di una c.d. notitia criminis alla Procura per la possibile apertura di un’indagine per la commissione di un reato tributario.

Il rischio fiscale è unico? No, il rischio fiscale può distinguersi in due categorie: categorie specifiche e categorie generiche.

All’interno delle categorie specifiche possiamo, innanzitutto, rinvenire il rischio transnazionale, ossia quel rischio inerente specifiche transazioni, particolarmente complesse e corredate dal requisito della transnazionalità, poste in essere dall’impresa. Tale specifico rischio fiscale emerge a fronte di aree di incertezza concernenti l’applicazione della normativa e della prassi fiscale vigente in uno Stato diverso da quello in cui ha sede l’impresa. Questo comporta, pertanto, la necessità dello studio e del controllo delle aree di incertezza riscontrate al fine di prevenire la nascita di contenziosi con le autorità fiscali competenti degli Stati ove l’impresa svolge il proprio business.

Sempre rimanendo all’interno delle categorie specifiche, si può menzionare il rischio di compliance, in merito alle operazioni day-to-day dell’impresa, riguardante l’interpretazione e applicazione della normativa tributaria, delle decisioni giurisprudenziali e della prassi. Un’ulteriore tipologia è data dal rischio operativo collegato alle dichiarazioni fiscali, ossia quel rischio che in sostanza attiene al procedimento di preparazione, compilazione e verifica delle dichiarazioni fiscali dell’impresa a fini impositivi. Infine, il rischio relativo alla contabilità, comprensivo dei rischi connessi ai controlli interni dell’impresa, antecedenti l’attività di revisione e certificazione esterna da parte di auditors qualificati.

Venendo, adesso, alle categorie generiche del rischio fiscale, emerge il rischio di gestione, normalmente affidato alla figura incaricata della Tax Risk Management, che nella sostanza attiene alla politica dell’impresa che pianifica interventi ad hoc. Infine, ultimo ma non per importanza, il rischio reputazionale, riguardante il modo in cui l’impresa viene percepita dalla comunità e dalle altre imprese, rinvenibile nelle informazioni che i mezzi di comunicazione possono divulgare in merito a circostanze funzionali ad esplicare le strategie, compresa la pianificazione fiscale, dell’impresa.

Il focus sul rischio fiscale e sulla sua gestione è relativamente recente, difatti, se interpellati i contribuenti si dichiarano attenti alle tematiche fiscali ma, approfondendo la questione, emergono sostanziali carenze, che generano inevitabilmente verifiche di questo atteggiamento superficiale, traducendosi in maggiori imposte, sanzioni e interessi.

Negli ultimi anni, tuttavia, stiamo assistendo ad una mutazione dell’approccio del legislatore e delle amministrazioni fiscali di diversi Stati, i quali stanno preferendo un’interlocuzione con i contribuenti diretta a prevenire situazioni, tendenze o problemi futuri. A tal fine si assiste ad una implementazione degli strumenti finalizzati a tale scopo, quali, ad esempio, il regime di adempimento collaborativo.

COSA È IL REGIME DI ADEMPIMENTO COLLABORATIVO?

Il regime di adempimento collaborativo o di “Cooperative compliance” è stato istituito con il D.Lgs. 128/2015, nel solco tracciato dall’OCSE con il rapporto preliminare «Cooperative Compliance. Building Better Tax Control Frameworks» del 13 maggio 2016.

L’obiettivo è quello di instaurare un rapporto di fiducia tra Amministrazione fiscale e contribuente per aumentare il livello di certezza sulle questioni fiscali rilevanti tale da eliminare, o quanto meno ridurre, eventuali interventi ex post dell’Amministrazione stessa.

Il regime di adempimento collaborativo è un istituto che prevede l’adesione volontaria del contribuente qualora sia in possesso di determinati requisiti oggettivi e soggettivi.

Quali sono i requisiti soggettivi? I requisiti oggettivi di accesso sono indicati all’art. 7 del D.Lgs. 128/2015, che prevede che il regime è riservato:

  • per gli anni 2022, 2023 e 2024, ai soggetti residenti e non residenti (con stabile organizzazione in Italia) che realizzano un volume di affari o di ricavi non inferiore a 1 miliardo di euro. La soglia di ingresso è stata così abbassata dal D.M. del 31 gennaio 2022, a fronte di quanto già fatto dal D.M. del 30 marzo 2020 che aveva già ridotto la soglia di ingresso da 10 a 5 miliardi per gli esercizi 2020 e 2021;
  • ai soggetti residenti e non residenti (con stabile organizzazione in Italia) che realizzano un volume di affari o di ricavi non inferiore a 1 miliardo di euro e che abbiano presentato istanza di adesione al Progetto pilota sul Regime di Adempimento Collaborativo;
  • le imprese che intendono dare esecuzione alla risposta dell’Agenzia delle Entrate, fornita a seguito di istanza di interpello sui nuovi investimenti (all’art. 2 del D.Lgs. 147/2015) indipendentemente dal volume di affari o di ricavi;
  • ai soggetti che fanno parte del Gruppo IVA di imprese già ammesse al regime (D.L. 119/2018), indipendentemente dal volume di affari o di ricavi.

Inoltre, in base a quanto espressamente previsto ai punti 2.5 e 2.6 del Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 14 aprile 2016:

  • è consentito l’ingresso per “trascinamento”, da parte dei soggetti suddetti, dell’impresa residente o non residente con stabile organizzazione in Italia che svolge “funzioni di indirizzo” sul sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale, anche non in possesso dei requisiti dimensionali;
  • se la società che svolge funzioni di indirizzo, come appena definite, ha presentato domanda per il progetto pilota e non possiede i requisiti dimensionali, le imprese appartenenti al medesimo gruppo avranno accesso al regime con il limite dimensionale del miliardo e potranno a loro volta far entrare per “trascinamento” la società che ha presentato la domanda.

Quali sono, invece, i requisiti oggettivi? Per poter accedere al regime di adempimento collaborativo le imprese, oltre a dover essere dotate di precisi requisiti dimensionali/quantitativi, devono già disporre al momento della richiesta di accesso, ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. 128/2015, di un efficace sistema di gestione e controllo del rischio fiscale, il cd. Tax Control Framework (TCF), con esso intendendosi un approccio organizzativo e procedurale personalizzato, ossia basato sulla propria realtà aziendale.

Quali sono gli aspetti premiali derivanti dall’adesione? Il D.Lgs. 128/2015 all’art. 6 prevede gli effetti di natura premiale derivanti dall’adesione al regime:

  • procedura abbreviata di interpello preventivo: l’Agenzia delle Entrate si impegna a rispondere ai quesiti delle imprese entro 45 giorni dal ricevimento dell’istanza o della eventuale documentazione integrativa richiesta;
  • applicazione di sanzioni ridotte alla metà, e comunque in misura non superiore al minimo edittale, con sospensione della riscossione fino alla definitività dell’accertamento, per i rischi comunicati in modo tempestivo ed esauriente, laddove l’Agenzia delle Entrate non condivida la posizione dell’impresa;
  • esonero dal presentare garanzie per i rimborsi delle imposte dirette ed indirette per l’intero periodo di permanenza nel regime.

COSA È IL TAX CONTROL FRAMEWORK?

Il Tax Control Framework è un insieme di regole, procedure, strutture organizzative e presidi, volti a consentire la rilevazione, misurazione, gestione e controllo dei rischi fiscali, attuali e potenziali, che possono emergere dai processi e dalle transazioni posti in essere da un ente giuridico, con contestuale identificazione di ruoli e responsabilità.

È interessante sottolineare come la struttura, il contenuto e l’approccio richiesto per il TCF sia molto simile a quello del Modello di organizzazione, gestione e controllo previsto dall’art. 6 del D.Lgs. 231/2001.

Se è vero che l’implementazione di un Tax Control Framework è condizione imprescindibile, ancorché non sufficiente, per l’accesso al regime di adempimento collaborativo, tuttavia, il legame tra i due istituti non è inscindibile. È errata, infatti, la convinzione che nella misura in cui non è possibile accedere al regime di adempimento collaborativo allora non si ritiene opportuno attivare il TCF. L’adozione di un TCF, piuttosto, dovrebbe essere vista come una scelta strategica di gestione responsabile del rischio, che di per sé giustifica l’investimento che essa richiede.

A tal proposito, infatti, occorre ricordare che le amministrazioni finanziarie hanno da tempo dichiarato di attribuire una particolare importanza al Tax Control Framework e di tener fortemente in considerazione, nella valutazione del profilo di rischio del contribuente e nell’approccio alla verifica, dell’implementazione o meno di un TCF strutturato in modo adeguato.

Può il Tax Control Framework coesistere con il Modello 231? Assolutamente sì, in quanto sono l’uno complementare dell’altro e mai possono porsi in un rapporto di alternatività.

L’area di applicazione del TCF è più ampia rispetto a quella del Modello 231, in quanto, oltre la gestione e il controllo dei rischi fiscali derivanti dall’ambito organizzativo e gestionale, include anche il controllo e il monitoraggio dei reati tributari. Diversamente, il Modello 231 è uno strumento di gestione del rischio fiscale limitato alla prevenzione dei reati presupposto.

La stessa Guardia di Finanza, nella Circolare n. 216816/2020, afferma che “la presenza di un Tax Control Framework valutato positivamente dall’Agenzia delle Entrate in sede di ammissione al regime di adempimento collaborativo può costituire un elemento utile a valutare l’efficacia esimente del Modello 231”.

In conclusione, pertanto, l’integrazione tra il Tax Control Framework e il Modello 231 è una tappa necessaria all’interno della realtà aziendale per lo sviluppo dei presidi di gestione del rischio fiscale, generatrice di benefici di sinergia e funzionalità.

Eliseo Verdiani



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